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Penelope Filacchione è una storica dell’arte, docente universitaria, curatrice, esperta di comunicazione dei beni culturali: ha iniziato dal 2015 come freelance il lavoro di curatrice, ma aveva un’idea particolare di come voleva impostare il suo lavoro.
Per questo, dopo oltre vent’anni di esperienza nell’ambito delle no profit, ha deciso nuovamente di aprire un’ associazione culturale che ha chiamato ArtSharing Roma. Già il nome spiega il progetto. Condivisione dell’arte tra artisti e tra artisti e pubblico. Per questo dentro uno spazio che è una galleria d’arte organizzano mostre, presentazioni di libri, corsi, workshop con artisti aperti anche al pubblico profano e così via. Una galleria che ha un vero progetto curatoriale, ma aperta e auto-finanziata attraverso progetti paralleli.
In cosa consiste il progetto Rosso Acqua?
Dalla collaborazione tra ArtSharing Roma, di cui sono presidente, e l’associazione TrequArti di Manuela Lupino abbiamo pensato una declinazione delle Zapatos Rojos dell’artista messicana Elina Chauvet che non fosse né una imitazione né una appropriazione di un’idea altrui: Manuela è una ceramista, quindi abbiamo immaginato un tema legato alla forma ceramica femminile per eccellenza. L’hydria per l’acqua. Si tratta di giare che le donne portavano sul capo prendendo l’acqua alla fonte per tutta la famiglia: una forma che esiste da quasi tremila anni, ma che si vedeva in uso nei paesi fino a un paio di generazioni fa. È un simbolo di cura verso la casa, che però è spesso il principale luogo di violenza per le donne. Dunque abbiamo chiesto a ceramiste e ceramisti da tutta Italia di produrre delle hydrie, ma di farle rosse come le scarpe delle installazioni di Elina Chauvet, che ci appoggia e a cui facciamo omaggio perché è un esempio nel mondo: ci lavorano già da due mesi, perché la ceramica ha tempi lunghi e modellare a mano una giara non è affatto un’operazione semplice, senza contare che ci sono due passaggi di cottura.
Rosso Acqua è il nome che ho voluto dare a questo progetto perché il rosso è un colore forte, legato al sangue della vita e della morte. L’acqua rossa è sporca del sangue di troppe donne.
Il progetto ha ricevuto il patrocinio del Municipio Roma XII e la collaborazione tecnica di Forni De Marco e Paolelli Passione Ceramica, due dei più importanti fornitori di materiali per ceramisti a Roma, che si sono messi a disposizione per forniture di materiali, cotture e quant’altro possa servire per aiutare a realizzare le hydrie.
Cosa accadrà il 25 novembre?
Le nostre hydrie saranno esposte al mercato Rionale De Calvi (che ringraziamo per l’ospitalità) in una installazione d’arte pubblica dalle 9.00 alle 15.00. Durante questo lasso di tempo si svolgerà anche una lettura pubblica a staffetta del Racconto dell’Ancella di Margaret Atwood. Questo libro, censurato in diverse parti del mondo e addirittura bruciato pubblicamente, pone l’accento sulla maternità coatta. Mentre noi discutiamo di diritto all’aborto, in troppe parti del mondo ci sono donne che sono costrette a partorire e crescere figli della violenza: lo abbiamo visto in guerra, durante le pulizie etniche, nelle battaglie ideologiche e religiose, ma anche semplicemente nel clima dell’ignoranza anche alla porta accanto. La maternità, che dovrebbe essere una scelta bellissima e libera, può diventare strumento di schiavitù e noi su questo vogliamo accendere un riflettore.
Alla lettura si sono prenotate già una settantina di persone e anche alcune classi di liceo, ma il nostro scopo è convincere a leggere le persone che passano, senza alcuna distinzione di genere, inclinazione, competenza, cultura, lingua, età. Vogliamo che la lettura diventi una liturgia laica e politica, un monito costante per diverse ore consecutive: in questo saremo aiutate dall’associazione Monteverde Attiva, che ha un progetto di lettura a voce alta che porta nelle scuole e nelle biblioteche e i cui soci si sono messi spontaneamente a disposizione per sostenerci nell’organizzazione della staffetta.
L’intera giornata sarà documentata ufficialmente dalle fotografie e dai video di Ilaria Di Giustili.
Alla fine della giornata e fino al 25 dicembre (giorno scelto non a caso, in cui i credenti celebrano Natività di Gesù) le hydrie saranno poi disponibili attraverso la piattaforma Buona causa per una raccolta fondi: si potrà scegliere l’hydria che si preferisce e fare una donazione. Il ricavato andrà interamente a sostegno dell’Associazione Donna e Politiche familiari, che ha sede nella Casa Internazionale delle Donne. Non solo danno supporto psicologico e legale alle donne vittime di violenza, ma danno un indispensabile aiuto logistico perché possano emanciparsi. Ho partecipato io stessa ad alcuni loro progetti di formazione affinché queste donne trovino la strada per rendersi indipendenti economicamente: in caso contrario potrebbero, ad esempio, scegliere di non separarsi da un uomo violento perché non saprebbero come mantenere sé stesse e i loro figli. Oppure i figli potrebbero essere affidati ad una struttura protetta, togliendoli alle madri, aggiungendo dolore al dolore.
Da artista e promotrice di Art Sharing Roma come percepisci il tema della violenza di genere?
Premesso che io sono una curatrice, dunque non un’artista, ma che lavoro con gli artisti, il tema secondo me è più vasto e pone un’altra domanda. Cosa può fare l’arte per cambiare le cose? In un mondo bombardato dalla comunicazione visiva a qualunque livello, dominato dalla velocità, l’arte può compiere un atto politico nel momento in cui costringe, attraverso le immagini, le persone a fermarsi e a riflettere. La violenza di genere mi riguarda da vicinissimo in quanto donna, dunque in quanto curatrice sento che sia un mio dovere mettere le mie competenze al servizio di azioni artistiche che accendano un riflettore su questo tema
Cosa può fare l’arte per combattere stereotipi e pregiudizi legati alle donne?
Il discorso se esista un maschile e/o femminile in arte è lungo e divisivo. Direi, spero senza urtare sensibilità, che l’arte ha un genere nelle tematiche più care a chi fa arte: in questo senso un uomo potrebbe essere sensibile a temi come la discriminazione verso le donne e una donna verso temi generalmente riconosciuti più maschili. L’arte ha comunque senso nella società contemporanea solo quando compie un atto politico, anzi potremmo dire che oggi più che mai tutta l’arte è politica. Non per questo deve urlare, può anche esprimersi poeticamente, ma deve sollecitare gli animi a riflettere su alcuni problemi. Esiste largamente nel mondo un problema legato al genere di chi fa arte: è paradossale pensare che, dai licei artistici alle accademie, le ragazze sono molto più numerose dei ragazzi, eppure tra chi ottiene successo le donne sono pochissime. E parlo di artiste, di curatrici, di fotografe, di critiche e così via: in tutti i mestieri dell’arte, come accadeva nel XVIII secolo, si tende a pensare che le donne si occupino di arte perché fa parte della loro “natura creativa”, mentre generalmente gli uomini sono considerati i veri professionisti.
Proprio la Biennale di Venezia 2022, curata da Cecilia Alemani e con una percentuale femminile tra gli artisti come non si era mai vista, ha affrontato questo aspetto sistematicamente.
Trovo assurdo che nel 2022 dobbiamo ancora pensare alle “quote rosa dell’arte”, ma le cose stanno così: in parte dipende da un pregiudizio esterno, ma credo che in parte – e anche qui potrei essere impopolare – dipenda da un auto pregiudizio, una scarsa fiducia delle donne in sé stesse quando si parla di mercato artistico ad alti livelli. In questo senso assumono un atteggiamento rinunciatario oppure, al contrario, fin troppo competitivo, faticando a mantenere la lucidità professionale in un mondo che senza dubbio è ancora avverso alle donne.
Quindi l’arte può combattere contro pregiudizi e stereotipi anche invitando le artiste ad alzare la testa tutte insieme e, ancora di più, invitando gli uomini ad alzare la testa per loro e insieme a loro. E’ anche per questo che abbiamo invitato anche ceramisti e lettori uomini, perché la loro presenza al fianco delle donne deve rappresentare un ponte, la costruzione di un dialogo, di una auto consapevolezza da tutte e due le parti. La cosa bella è che per Rosso Acqua abbiamo avuto una risposta molto generosa di uomini convintissimi della giustezza di questa battaglia.
Ti occupi di arte da molti anni, qualcosa è cambiato in questo settore sul fronte della parità di genere? E quale è la situazione attuale?
Credo di aver già parzialmente risposto poco fa. L’azione della Biennale ha fatto molto discutere, il che significa che di strada da fare ne abbiamo tanta. Perché, a mio avviso, il problema non si dovrebbe proprio porre.
Nel settore dell’arte, come in qualunque altro settore, si dovrebbe parlare del genere di chi fa qualcosa solo come eventuale valore specifico di lettura: credo che sia bello tener conto della grande ricchezza di sensibilità diverse che è tipica dell’umanità – differenze che sono culturali, sociali, anagrafiche e anche di genere – ma cerco di concentrarmi prima di tutto sulla qualità del lavoro, a prescindere dal punto dell’arcobaleno in cui si colloca chi fa una determinata cosa.
In questo sono un’estremista: trovo che non ci sia nulla di più ipocrita di parole come “tolleranza”, “parità” e simili. Suonano come se fossero calate dall’alto, anche se abbiamo ancora la necessità di usarle. A mio avviso ci dovrebbero essere solo e semplicemente persone che popolano questo pianeta, che hanno lo stesso diritto a realizzarsi attraverso ciò che amano e sanno fare meglio.