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«Lo facciamo per il tuo bene». Una frase che dovrebbe rassicurare, ma che invece può diventare sinonimo di dolore, ingiustizia e incomprensione. È la frase che molti bambini e bambine si sentono dire da assistenti sociali, educatori, giudici e forze dell’ordine nel momento più difficile della loro vita: quello in cui vengono separati dalle proprie famiglie. Madri spesso considerate inadeguate solo perché hanno avuto il coraggio di denunciare situazioni di violenza domestica.

Ma cosa succede quando questo giudizio non è corretto, quando un sistema che dovrebbe proteggere finisce per generare nuova sofferenza? È proprio questo interrogativo che attraversa ogni puntata del podcast originale di Radio 24, «Per il tuo bene. La storia dei quattro fratelli di Cuneo», curato da Livia Zancaner. Attraverso una ricostruzione precisa, rispettosa e intensa, questo racconto audio ci guida nella storia di quattro fratelli, strappati improvvisamente dai loro affetti e affidati a strutture e famiglie con metodi spesso discutibili.

Una storia che lascia una traccia indelebile, che ci costringe a guardare in faccia le crepe di un sistema che rischia di fallire nel suo compito più delicato: quello di proteggere i bambini e le bambine.

Come nasce “Per il tuo bene”?

Da anni mi occupo di violenza contro le donne e i minori. E da anni mi occupo del tema dell’affidamento dei figli nei casi di violenza domestica e dei cortocircuiti giudiziari che vengono messi in atto quando una donna denuncia le violenze da parte del compagno. Io e le colleghe giornaliste abbiamo scritto e raccontato tanto. Nonostante ciò, pochi conoscono ancora queste storie e tanti in ogni caso non ci credono.  Così ho deciso di utilizzare lo strumento del podcast, che credo possa arrivare a molte persone, anche a chi non legge siti di informazione, giornali e non ascolta la radio.

C'è stato un momento preciso o una storia che ti ha spinto a voler raccontare il tema dell'istituzionalizzazione dei minori?

Ho iniziato a occuparmi di queste storie quando sono entrata in contatto con donne che hanno perso i figli – finiti in comunità o affidati al padre – dopo una denuncia di violenza domestica. Sono molte le storie che mi hanno colpito, ne ho raccolte tante. Ci sono donne che non hanno più visto i propri figli. Ci sono bambini strappati alle mamme quando erano piccoli, all’età di 5 o 8 anni e che dopo un passaggio in comunità sono stati affidati al padre.  Figli che crescono senza la mamma, con la quale il legame viene reciso in tenera età e a volte mai più ricostruito. Ma ci sono anche storie – e sono la maggioranza – di figli che finiscono in affido condiviso nonostante denunce di violenza.

Secondo un’indagine della commissione di inchiesta sul femminicidio pubblicata nel 2022, in oltre un terzo dei procedimenti civili di separazione giudiziale con affidamento di figli minori e procedimenti minorili sulla responsabilità genitoriale sono presenti allegazioni di violenza domestica – ovvero denunce, certificati o altri atti e annotazioni relativi a violenza fisica, psicologica o economica – che in tribunale non vengono prese in considerazione. Così, non considerando la violenza, i bambini, nella maggioranza dei casi finiscono in affido condiviso anche al padre. Nei casi più critici, in comunità e poi affidati esclusivamente al padre 

Il titolo del podcast è fortemente evocativo. Cosa significa per te l'espressione “per il tuo bene”, e come hai deciso di usarla in questo contesto?

Per il tuo bene è la frase che gli adulti tendono a ripetere ai bambini e alle bambine in ogni contesto, senza in realtà interrogarsi su cosa è davvero il bene per loro. E’ un’idea che ci portiamo dietro dalle generazioni passate e da cui oggi stiamo cercando di smarcarci. Per quanto mi riguarda, è una frase che evito e non sento mia.  .

Nel caso specifico del podcast, “lo facciamo per i tuo bene” è la frase che i bambini sentono ripetere continuamente dai giudici, dalle forze dell’ordine, dagli assistenti sociali, dagli psicologi. Adulti che pretendono di scegliere la strada giusta per loro senza ascoltarli, ma soprattutto causando in loro un trauma incalcolabile.

Qual è lo stato del tuo approccio nella fase di ricerca? Che tipo di fonti, materiali o testimonianze hai raccolto per costruire il podcast?

La prima fase di ricerca come sempre in questi casi riguarda la raccolta e l’analisi delle fonti. Per ricostruire la storia, ho letto e analizzato tutte le sentenze dei tribunali, le relazioni e i documenti. Poi ho intervistato i protagonisti, in primis i ragazzi, Francesco e Caterina, oggi maggiorenni, la mamma Alma e il suo compagno Luca, l’avvocato Domenico Morace. Mi sono recata nei luoghi in cui la storia è ambientata eho contatto le persone che in qualche modo hanno avuto un ruolo. Tante non hanno voluto parlare ed essere citate.  Quindi ho intervistato gli esperti su vari temi trattati nel podcast.

Quali sono le critiche più evidenti e sistemiche che emergono nel racconto di questi percorsi di vita?

Sono molti i punti critici.

  1. In primis: l’obiettivo finale diventa quello di garantire la bigenitorialità a tutti i costi, anche nei casi di violenza, quando invece la priorità dovrebbe essere quella di tutelare la donne e i loro figli. Perché l’uomo violento non è mai un buon padre.
  2. La donna che denuncia la violenza passa sul banco degli imputati. Nelle consulenze tecniche d’ufficio dei periti nominati dal tribunale per valutare le competenze genitoriali, la donne viene spesso considerata manipolatrice, alienante e demonizzante la figura del padre. Cioè, secondo le relazioni, se i figli non vogliono vedere il padre non è perché hanno assistito alle violenze o le hanno subite, ma perchè la madre li manipola. Ciò in base a una teoria non scientifica che si chiama alienazione parentale. Spesso non viene citata ma comunque messa in pratica.
  3. I prelievi forzosi devono esse vietati perché possano essere usati solo in caso di immediato e imminente pericolo. E per i bambini rappresentano un trauma incalcolabile.
  4. Il filo conduttore è il fatto di non considerare la violenza nel processo civile e di non perseguire il tanto citato “superiore interesse del minore”. Dopo la denuncia di violenza i bambini invece di essere tutelati vengono allontanati dalla loro mamma e da tutti i loro affetti per essere messi in comunità. Così facendo le donne, per non perdere i propri figli, hanno paura di denunciare.

Io ho seguito tanti casi come questo. Anno dopo anno.  Anche io all’inizio ho pensato: “ma come è possibile? Queste donne avranno fatto qualcosa per vedersi portare i figli”. E invece no. Ho letto i documenti, le sentenze, le relazioni e ho capito che quello che tutte le donne e i bambini raccontano è assolutamente vero. E’ un incredibile cortocircuito giudiziario. E il modus operandi è sempre lo stesso. Le storie sono diverse ma le modalità utilizzate sono identiche.

E sono storie che vanno avanti, in tutta Italia, in tutti i tribunali, anche ora mentre stiamo parlando.

Livia Zancaner, giornalista di Radio 24 dal 2014, si occupa di news, cronaca ed economia. Firma di Alley Oop, blog multi-firma del Sole 24 Ore sulla diversity, ha lavorato a Radiocor – sempre nel gruppo 24 Ore – e a MF Milano Finanza. Scrive da anni di violenza contro le donne e i minori. Tra i progetti recenti, il libro edito da Il Sole 24 Ore “In Trappola. Giovani, parole e linguaggio. Come liberarsi da stereotipi e modelli sessisti”, i podcast “Per il tuo bene. La storia dei quattro fratelli di Cuneo” e  “Ti Uccido. Lidija e Gabriela: una storia di violenza sulle donne”. Ha realizzato, insieme ad altre nove autrici, il libro “Senza Madre, Storie di figli sottratti dallo stato”.

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