Beatrice Schiaffino, Ligure doc di Rapallo, è un vulcano: attrice, presentatrice, autrice e counselor, si forma come attrice a Genova, poi Londra e Los Angeles. Si laurea con Lode in “Discipline dello spettacolo e della comunicazione” a Pisa con una tesi sul multimediale digitale applicato alla scena teatrale, per poi trasferirsi a Roma. Sempre in movimento, amante dei libri, dei viaggi e del mondo dell’arte, inizia la sua carriera in teatro, per poi continuare in ambito televisivo e cinematografico. Il prossimo 4 maggio la potremo vedere in Emanuelle – Do ut des.
Do ut des è la storia di Emanuelle, una scrittrice di successo, forte e caparbia, che nasconde una profonda quanto ancora aperta ferita e ad un certo punto decide di farsi giustizia da sola, a qualsiasi costo. Con il pretesto di portare avanti un esperimento sul comportamento dell’essere umano in situazioni limite, si avvicina a Leonardo, un ricco imprenditore milanese – nel film interpretato da Gianni Rosato – dando seguito ad un gioco pericoloso iniziato molto tempo prima. Il film tratta di violenza di genere: è una storia cruda, molto vera, che si sviluppa partendo da fatti di cronaca realmente accaduti. Calarmi in un personaggio così stratificato e complesso è stato molto stimolante, ma ha richiesto un lavoro approfondito: ho dovuto sondare i pezzetti più oscuri dell’animo umano, capire come nascono certe dinamiche, accettarle e farle mie in qualche modo per poi interpretarle… Trattare temi come il dolore, la violenza, la manipolazione, la rabbia, la sessualità, è una bella sfida non solo per noi attori, ma anche per i registi e tutti i reparti coinvolti. Perché viene richiesta una sensibilità extra, una delicatezza e una cura ancora più decisive. In questo percorso sono state molte le scoperte, soprattutto dal punto di vista umano. A partire dalla sceneggiatrice e co-regista Monica Carpanese, che ha deciso di raccontare la violenza in modo inedito e coraggioso, e al regista e DOP Dario Germani, che con la sua determinazione ha creduto in me e mi ha dato la possibilità di esorcizzare insieme ad Emanuelle quella rabbia e indignazione, personale e al tempo stesso collettiva, che nasce di fronte all’ingiustizia e alle azioni violente. Nel percorso ci hanno poi accompagnato anime speciali, come quella della nostra segretaria di edizione, Raffaella, che nessuno sapeva ci avrebbe lasciato da lì a poco. Con il sorriso, ci stava regalando per l’ultima volta la sua professionalità sul set. A lei è dedicato il film.
Che non si possono sottovalutare i sentimenti delle persone con cui ti relazioni, che non sei abilitato a usare ogni mezzo per raggiungere il tuo piacere, che ci dovrebbe essere sempre un confine, un filo che ti tiene legato in contatto con l’altro. Perché quando si agisce violenza l’altro non esiste più, si è solo in preda alle sole proprie pulsioni, fantasmi o fantasie…. Ma poi dall’altra parte qualcuno c’è eccome, e questo qualcuno presto o tardi accuserà il colpo con tanta sofferenza, senso di inadeguatezza e colpa, fragilità, ansia, rabbia, e purtroppo spesso altra violenza… e non sarà facile chiedere aiuto e sanare quelle ferite dalle quali non si torna più indietro. Questo non è un film che vuole fare la morale, ma parla proprio dell’opposto: interroga su cosa si sia giustificati a fare o meno dopo fatti così gravi, dove si sposti il limite del “giusto o sbagliato” quanto si toccano certe dinamiche… e la risposta non è così scontata.
L’ostacolo più grande è ancora oggi la cultura maschilista e macista della quale siamo impregnati. Si fa un passo avanti e due indietro. Mi spiego. Di fatto si sta facendo molto su questo fronte negli ultimi anni ed è bello vedere questo crescendo di iniziative e manifesti legati al raggiungimento della parità di genere. C’è molto da fare, ma finalmente ci si interroga su cosa significhi davvero, sui mondi che possiamo riscoprire e su quelli ancora inesplorati che ci possiamo immaginare di creare, da qui in avanti… ma è come se sfuggisse ancora qualcosa…e credo sia normale. Troppo spesso assistiamo ad iniziative coraggiose, ma che poi si rivelano “aria fritta” per sembrare aperti e inclusivi, piuttosto che esserlo davvero…E lì ti accorgi quanto sia difficile, nonostante spesso ci siano buone intenzioni alla base, uscire davvero da certi meccanismi così radicati. Ma la consapevolezza della necessità di un cambio di passo ormai è per fortuna assodata. Sento che siamo in mezzo ad un percorso di tentativi e scoperte, cui sono felice di assistere, seppur a volte goffi. Ciò che mi colpisce e preoccupa, in verità, è il pensiero politico e sociale di chi è al governo, totalmente reazionario e fuori contesto storico. Il grottesco in questo caso è sotto agli occhi di tutti, ma il peso politico e decisionale che comunque di fatto hanno, da qualche parte mi inquieta.
Il me too è un movimento che ritengo fondamentale, perché per la prima volta la vittima è scagionata dalla sua condanna di isolamento, vergogna e senso di colpa. Mi fa arrabbiare tanto quando sento ancora dire “perché non l’ha detto prima? Eh, ma si è messa in quella situazione…”, perché è come se si negasse il contesto, sociale e mentale, in cui si sono sviluppati certi avvenimenti e in cui ancora troppo spesso ci muoviamo, consapevolmente e non, uomini e donne. E si sminuisce ancora una volta il comportamento della vittima, piuttosto che focalizzassi sull’aggressione, più o meno esplicita, subita. Per non parlare della difficoltà nell’esporsi raccontando vicende intime, che spesso comportano confusione mentale e disagio a più livelli. Personalmente, posso affermare, come purtroppo infinite altre donne, di esser stata anche io vittima di abusi. E non è stata una passeggiata, in primis riconoscerlo, poi elaborarlo e parlarne…. Sul lavoro per fortuna non ho avuti episodi pesanti, ma anche io ho ricevuto avanches inopportune, battute indesiderate, commenti o richieste totalmente fuori luogo, tentativi manipolatori che magari su un’altro carattere avrebbero sortito altre risposte… Io mi ritengo fortunata ad avere tanti strumenti e risorse personali dalla mia, ma il movimento propone un lavoro di denuncia necessario, perché ancora infinite sono le casistiche di abuso nelle quali ti trovi travolta. Non esiste solo il ricatto sesso-lavoro, è un argomento molto più ampio, che va portato a galla per essere sanato. Io sono in prima linea da anni, con i miei spettacoli e i progetti che porto avanti. Bisogna lavorare su più fronti per un cambiamento radicale e l’arte è uno strumento potente, cui non dobbiamo rinunciare per denunciare e raccontare, risvegliare consapevolezza e promuovere nuovi approcci.

In ordine totalmente sparso: Frida Kahlo, Mina, Michela Murgia, Cate Blanchett, Hilary Swank, Tilda Swinton, Olivia Colman, Rupi Kaur, la mia amica Louisa Jane, la mia madrina Nadia e mia cugina Paola, Cristina Donà. E poi Daniela, Manuela, e tante altre ancora, ognuna con la sua meravigliosa unicità mi hanno donato e portato qualcosa di speciale nella vita.
Ho da poco finito le riprese di Phobia, un film thriller/drammatico, opera prima di Antonio Abbate, che mi vede nel ruolo di Michela a fianco di Jenny De Nucci. Non vedo l’ora di vederlo! Per quanto riguarda il teatro invece, dopo il bellissimo riscontro che ho avuto con il monologo “La Papessa”, che continuerò a portare in giro per l’Italia, ho in programma il debutto con un secondo spettacolo tratto dal progetto multimediale e teatrale “Free women suite” di Andrea Balzola e me: “L’Imperatrice”. Questa volta porterò in scena la storia di un’altra donna che si è ribellata ai dettami del suo tempo pur di affermare la sua unicità, una vera precorritrice di tantissime mode e usi attuali: Virginia Oldoini, nota come la Contessa di Castiglione. E poi ci sono altri progetti, ma non posso svelare altro per il momento. Vi aspetto a teatro… e al cinema!
