Simona De Rosa è una cantante e compositrice napoletana con una carriera internazionale che fonde jazz, world music e sperimentazione sonora. Laureata in Geologia a Napoli e in Jazz Performance a New York, ha collaborato con artisti di fama mondiale e si è esibita in prestigiosi festival e club negli Stati Uniti, Asia ed Europa. La sua discografia esplora sonorità globali, e il suo percorso artistico continua tra Berlino e il resto del mondo.
“Feathers” è un viaggio musicale attraverso culture e tradizioni diverse. Come hai scelto i paesi e le influenze che hanno dato vita a questo album?
È stato un processo naturale. Da anni esploro le musiche del mondo, ma paradossalmente è stato solo dopo essermi trasferita in America nel 2013 che mi sono avvicinata davvero alla musica napoletana, pur essendo napoletana. Da lì, il mio viaggio musicale si è esteso al Sud America, al Vietnam, alla Cina, fino ad arrivare al mondo arabo, che ha conquistato il mio cuore solo tre anni fa.
C’è stato un momento in particolare in cui hai sentito che questi mondi musicali si intrecciavano in modo naturale?
Sì, i linguaggi sonori del mondo sono diversi, ma riescono a fondersi perfettamente tra loro. Per me è naturale cantare in più lingue e sentire che ognuna di esse mi appartiene in modi diversi.
Nel tuo percorso artistico hai esplorato il jazz, la world music e le sonorità contemporanee. Come hai lavorato con Michal Ciesielski e il Confusion Project per creare un suono coeso, pur mantenendo tante influenze diverse?
Conosco Michal dal 2018: ci siamo incontrati in Cina e già allora avevamo iniziato a collaborare. Un giorno mi ha mostrato alcuni video del suo trio, il Confusion Project, e sono rimasta folgorata dal loro sound. Ho sentito subito il desiderio di lavorare con loro, e oggi eccoci qui. Per me hanno un suono unico, e riuscire a unire le nostre visioni è stato un processo tanto naturale quanto entusiasmante.
“Autumn in Beijing” racconta un momento molto personale della tua vita. Quanto è importante per te la dimensione autobiografica nella scrittura e nell’interpretazione musicale?
È una scoperta nuova per me. Ho sempre cantato canzoni di altri, ma iniziare a scrivere le mie ha creato un legame più profondo tra la mia mente, il mio corpo e la mia musica. È un processo di esplorazione interiore che sto vivendo con grande curiosità.
Ritieni che la musica abbia il potere di cristallizzare e reinterpretare i ricordi?
Assolutamente. Ho una memoria pessima, ma alcune canzoni restano legate a momenti importanti della mia vita, che non dimenticherò mai. Quando canto determinati brani, torno immediatamente a quei ricordi con una nitidezza incredibile.

Hai collaborato con artisti provenienti da diversi contesti culturali, come The Bulgarian Voices Berlin e il musicista tunisino Ziad Trabelsi. Come cambia il tuo approccio vocale e interpretativo quando entri in contatto con tradizioni musicali così differenti dalla tua?
Mi avvicino con rispetto e attenzione, come se stessi entrando in un luogo sacro. Interpretare queste musiche per me è un momento di preghiera e di studio. Ogni volta imparo qualcosa di nuovo e mi sento onorata di poter lavorare con artisti che hanno un background diverso dal mio. È un continuo arricchimento.
Nel corso della tua carriera hai portato la musica italiana in giro per il mondo, ricevendo anche riconoscimenti per questo. In che modo il tuo background napoletano influenza il tuo modo di comporre e vivere la musica?
In tutto. Se non fossi nata a Napoli, non sarei dove sono oggi. Te lo dico sinceramente!
C’è una traccia in “Feathers” che senti particolarmente legata alle tue radici?
Forse “Alfa Laila”, il brano che ho realizzato con Ziad Trabelsi. Il mondo arabo ha avuto un’influenza incredibile sul Sud Italia, soprattutto a livello musicale. Quindi, anche se il testo è in arabo, quando lo canto lo sento mio.
Il tuo lavoro ha un forte valore di connessione tra culture e popoli. Credi che la musica possa essere uno strumento di diplomazia culturale e di abbattimento delle barriere tra le persone?
Lo è sempre stata. Il mio è solo un altro messaggio di unione, un ponte tra culture diverse.
Hai vissuto un episodio che ti ha particolarmente colpito in questo senso?
Sì, ogni volta che canto in napoletano all’estero e il pubblico, pur non capendo la lingua, si commuove. Spesso mi avvicinano con le lacrime agli occhi, dicendomi che hanno percepito ogni emozione. E ora, portando “Feathers” in giro per il mondo, vedo lo stesso entusiasmo: la gente mi ringrazia per il viaggio che sono riuscita a fargli vivere attraverso la musica.