Maddalena Vianello è professionista della progettazione e organizzazione culturale, esperta di politiche di genere e nell’ambito della violenza maschile contro le donne. Femminista, è fra le curatrici e organizzatrici di inQuiete festival di scrittrici a Roma. Ha pubblicato “Fra me e te” (Edizioni et al., 2013), scritto a quattro mani con Mariella Gramaglia e “In fondo al desiderio – dieci storie di Procreazione medicalmente assistita” (Fandango, 2021), che di recente è diventato un podcast.
Il podcast nasce da un libro che ho scritto per Fandango e che porta lo stesso titolo “In fondo al desiderio – dieci storie di Procreazione medicalmente assistita”.
Quando di recente la casa editrice mi ha coinvolta nella piattaforma Fandango podcast, ho accettato con grande entusiasmo. Non solo perché amo i podcast, ma perché ho pensato che sarebbe stato uno strumento ulteriore per diffondere il progetto. E così ci siamo rimesse al lavoro.
Il libro e il podcast rispondono un’idea, quella di rompere il silenzio che avvolge le tecniche di Procreazione medicalmente assistita (Pma), quelle tecniche a cui molte donne ricorrono per cercare una gravidanza che non arriva in maniera spontanea.
Il podcast si compone di sei puntate, sei storie raccontate da donne che hanno vissuto la Procreazione assistita. Siamo Maddalena Vianello, Lorenza Valentini, Marilena Grassadonia, Angela Lamboglia, Barbara Leda Kenny e Paola De Micheli.
In fondo al desiderio è un progetto collettivo, realizzato da donne molto diverse fra loro che hanno affrontato percorsi e scelte secondo convinzioni e condizioni differenti, a volte inconciliabili.
Insieme abbiamo messo a disposizione le nostre storie, scelte, batoste e svolte perché potessero essere utili a tutte le altre.
Quando ho cominciato a cercare altre donne che avessero voglia di partecipare, non avrei mai immaginato che sarebbe stato così facile trovarle. Sono arrivata a loro tramite il passaparola, o la catena dell’amica-dell’amica-dell’amica.
Ero certa che avrei incassato una catena di grandi: no, garzie, nemmeno per sogno.
E, invece, è stato tutto l’opposto. Ho raccolto entusiasmo e desiderio di partecipare nella costruzione di un discorso pubblico sulla Pma.
In molte hanno sofferto per l’assenza di informazioni, di letture, di parole, storie nelle quali rispecchiarsi o con le quali misurarsi.
“In fondo al desiderio” ha rappresentato la possibilità di offrire alle altre – che ci stanno passando o che ci passeranno – una sponda dove appoggiarsi e prendere fiato, uno spazio dove nominare le emozioni soprattutto se scomode, e poter parlere di tutto: dal sesso, alle storture legislative; dalle diseguaglianze, all’accesso alle tecniche; dalle fatiche, alla ricerca di una strada giusta per ciascuna.
Non lo so, ma mi piacerebbe tanto saperlo.
Posso però dire che abbiamo ricevuto moltissimi messaggi. Messaggi di incoraggiamento, di gratitudine, di sostegno. Ma anche messaggi che raccontano altre storie, altri viaggi, altre scelte.
Messaggi che abbiamo sempre tenuto fra noi, perché c’è qualcosa di inviolabile nella relazione che si crea fra donne – anche se sconosciute – nell’affidarsi le une alle altre.
Altri messaggi raccontavano quanto il nostro lavoro fosse stato di sostegno per percorrere le curve e ragionare sull’esperienza della Pma.
Tutto questo è prezioso perché restituisce senso al progetto creato insieme.
Credo di aver inizialmente sottovalutato la potenza della voce.
Non avevo capito quanto potesse essere travolgente raccontare in prima persona e con la propria voce un’esperienza del genere.
Solo quando mi sono trovata di fronte al microfono – nella sala di registrazione immersa nel silenzio – ho sentito quanto raccontare con la propria voce una parte così intima della vita, fosse complesso e rappresentasse una maniera del tutto diversa di esporsi.
Allo stesso modo, accompagnare le altre è stato come rivivere insieme tutto daccapo.
Credo ce ne siano diversi.
La libertà nelle mani delle donne. Non c’è una regola buona per tutte, non ci sono limiti prestabiliti. Ciascuna sceglie per sé, stabilendo fin dove può e vuole spingersi.
“In fondo al desiderio”, però, è anche un progetto di accusa per le storture del sistema che ruota intorno alla legge n. 40 del 2004 che ne regola la Pma in Italia. Una legge ingiusta, in parte sanata dalle sentenze della Corte costituzionale che si sono susseguite negli ultimi anni. Molte questioni, però, restano aperte: come, per esempio, l’impossibilità di acceso per le donne single o lesbiche. Solo le donne eterosessuali e accompagnate da un uomo possono nel nostro Paese accedere alla Pma. Un sistema che rafforza in questo modo il modello unico della famiglia patriarcale.
Intorno alla Pma, inoltre, si configura una vera e propria questione di classe. Le richieste non vengono assorbite in tempi ragionevoli dal Sistema sanitario nazionale e molte coppie scelgono di rivolgersi alle cliniche private in nome di tempi brevi e quindi di maggiori probabilità di successo. Naturalmente, questo vale solo per chi può permetterselo.
I criteri di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita vanno rivisti, abolendo le restrizioni di accesso e garantendo ampia informazione sul tema, tempi certi e costi contenuti. Solo così la Pma potrà essere per tutte.